2 Novembre 2008 -

Tentazione

Divagazioni nell’alto dello Scorzella

 La tentazione, si sa, è sempre in agguato e non risparmia nessuno. Non risparmia i giovani,  incoscienti, impetuosi e portati ad osare. Non risparmi i vecchi che, fidando sulla loro esperienza e sulla loro maturata prudenza, sono sicuri di non caderci. E invece…Invece,  quando la tentatrice è  una che sa sedurre e lusingare con dolcezza e senza parere, quando è una che alterna grandi slanci a dolci vaghezze, quando è una che ora ti squaderna le sue sinuosità e ora ti cela misteriose profondità, quando è una che ne fa di tutti i colori, ma con toni teneri e giammai grossolani, quando si tratta della Montagna, insomma, ci cadono tutti, almeno tutti coloro che hanno intelletto d’amore.

Così cinque veterani il 2 novembre, violando due tradizioni, quella dei cari defunti e quella della escursione sociale, hanno programmato una sorta di mera camminata, dichiaratamente semplice e magari breve, proprio in ragione del calendario. Dalla Casa Anas della Statale del Terminio in direzione est, lungo un poco frequentato sentiero tracciato sul versante nord della Serralonga, in alto sullo Scorzella. Fino a dove? Poco, fino a quando non sarebbe iniziata la decisa discesa verso Serra Castagna e la valle del Calore; da quest’ultima infatti sarebbe stato arduo risalire.

Via così, animati da moderati propositi ed incoraggiati da una perfetta giornata, autunnale nei colori, ma primaverile per la leggerezza dell’aria e lo splendore del sole, lungo la ciottolosa sterrata che mena al valico di Barrizzulo. Incontriamo un socio del CAI di Napoli,  picentinomane dichiarato, ma cerchiamo invano di guadagnarne la compagnia. Vuole tuffarsi direttamente nello Scorzella, sorgente Tronconcino. La camminata iniziale sulla sterrata, altre volte noiosa, oggi ci gratifica, consentendoci una graduale messa in moto e regalandoci la grandiosa e solenne visione degli spalloni settentrionali dell’Accellica, tersi e distinti come non mai nella folla dei faggi e nelle piccole guglie sommitali. Al primo prato ci separiamo dall’amico napoletano. Noi raggiungiamo il secondo e dalla sua estremità (ad ore 11 del suo  rotondo quadrante)  ci caliamo in una comoda sterrata che  scende placida e regolare. Qui il sole non è ancora sorto, nè sappiamo se ci arriverà. Ci accompagnano invece foglie umide e terreno imbevuto dalla recente pioggia, quanto basta per non essere fangoso. La dorsale della Serralonga sul nostro fianco destro si fa sempre più alta; noi scendiamo rilassati ed euforici, lontani da ogni bellicoso proposito e certi di un tranquillo mènage. Prima che la via si restringa ci si para dinanzi un invitante cocuzzolo solatio. Vederlo e salirvi e tutt’uno. Pensiamo sia l’ultimo cocuzzolo di nordest della Serralonga, ma invece è il penultimo; poco più avanti ce n’è un altro, più alto. Ma ci basta questo (quota 1048). La visione è comunque circolare e perfetta. Al di là delle cime più note (le Raie di Acerno e di Bagnoli,  un pezzo del Polveracchio, il Terminio coi suoi vassalli del Sassosano, Cercetano, Tufara e Felascosa) ci divertiamo a sbirciare cime e siti minori, mai considerati: il piccolo altopiano delle Castagne del Prete, presso Montella, Toppo Puoio, Serra Castagna, Costa di Zampano. Serpeggia nel fondo l’argento della strada Acerno- Montella. Il nostro cocuzzolo sarebbe un ottimo punto di arrivo e di sosta, ma è troppo presto, sono appena le 11, che fare? Un altro poco, solo un altro poco, fino a quando il percorso non scende troppo e non diventa tale da imporre una risalita troppo ripida. E così piano, piano, come è scritto nella storia di ogni tentazione, cominciano gli inganni e gli ingenui propositi. Là dove appaiono le foglie gialle dei primi castagni selvatici spunta un bivio e la tentazione prende un più deciso corpo e si  traveste da scelta ottimale. Invece di scendere a capofitto verso la valle del Calore  perché non deviare a sinistra (nord) prendendo questa comoda mulattiera che certamente ha una meta sicura? Del resto, presso di noi (a 100 mt. circa di quota più in basso) la carta segnala la grotta del Caprone. Potrebbe essere una meta remunerativa e di agevole spesa. Via allora lungo il nuovo sentiero, sentiero, si perché piano piano si restringe. Fingiamo di non accorgercene anche perché, almeno nei due più sensibili alla tentazione, va maturando una proposta indecente, un deciso colpo di timone nella direzione opposta a quella inizialmente programmata: scendere giù, proprio giù, fino alle rive dello Scorzella per poi risalire dal Tronconcino lungo, il sentiero 11D, fino al Barrizzulo. E’ per le tentazioni c’è sempre una scusa buona: perderemo, si, altitudine e dovremo, si ,affrontare una ripida risalita, però ora andiamo nella direzione giusta, ovest, senza dover fare un lungo e noioso giro di ritorno per  la stessa strada.

L’euforia della meta ci sospinge lungo un sentiero che diventa sempre più una sorta di riga tracciata nella falasca; ma non è questo che ci intriga. Ci frustra, piuttosto, l’andamento ondeggiante della traccia che, quando sembra stia per scendere, subito risale, certosinamente contornando rientranze e sporgenze. Ma ormai abbiamo ceduto completamente alla lusinga della scoperta e proseguiamo dimentichi di ogni pudore.  Ed ecco che il vero appare presso l’ennesimo canalone, che sarà già difficoltoso attraversare per un mix scivoloso di pietre, foglie ed erbacce, e che ci proietta beffardo, subito dopo, non un rigo ma addirittura un filo di sentiero, appena visibile su di un infido terreno, color cioccolato, fin troppo friabile sotto i denti degli scarponi. E’ un brusco risveglio: ci guardiamo sconsolati e volgiamo a più saggi propositi. Ma non del tutto: forse il canalone stesso può offrirci una ritirata onorevole. Se non scendiamo più nello Scorzella almeno risaliamo su diritto per il canalone per guadagnare la strada dell’andata per direttissima, senza lo scorno di un lungo dietro front.  Va in esplorazione il più esperto, ma scompare. Gli altri si arrangiano alla bell’ e meglio fra tronchi, pietrame, sterpaglie e quant’altro i fenomeni meteorici hanno saputo trascinare nell’invaso. I bastoncini impicciano; servono più che altro le mani. Ma alla fine arriva l’inevitabile ordine di ritirata. La direttissima di risalita non c’è !

Lo slalom di un grosso masso che rotola fra noi fortunosamente scansandoci  solennizza la sconfitta e ci richiama al pentimento per il commesso peccato di leggerezza e presunzione. Riprendiamo quella via del ritorno che “con orgogliosa sicurezza” avevamo pensato di lasciare definitivamente alle nostre spalle. L’unica consolazione è che la via, inversamente rispetto all’andata, diventa sempre più agevole. La tentatrice ci apre ogni tanto un invito di discesa a sinistra, ma ormai non ci lasciamo più incantare. Riguadagniamo il bivio dei castagni gialli e quindi la parte  aperta e sommitale del sentiero. Ancor più ci conforta la cima 1048 dove stavolta vogliamo e dobbiamo sostare, per un lavacro di luce. Il sole infatti comincia a calare presso le reiterate gobbe della Serralonga e ci colpisce diritto negli occhi impedendoci di scrutare gli schermi del GPS e dei cellulari. Poco male. Tutt’altro va contemplato. Accarezziamo con paciosa soddisfazione le corone di monti già notate all’andata, quasi ad impossessarcene. Il verde ancora prevale, ma complice il sole e l’autunno il tutto si fonde in toni caldi e gradevoli. Il momento della partenza non dovrebbe mai arrivare. Tanto più vorremmo rinviarlo oggi per prolungare questo momento di grazia e cancellare definitivamente quello della tentazione e del peccato, del 5 in condotta che abbiamo meritato. Si riparte alla fine rituffandosi nell’ombra lungo la sterrata, che ci sembra breve fino al Barrizzulo. E’ lunga invece ed interminabile la strada bianca e ciottolosa successiva. Timidi bovini, ancorché scortati da un possente torello, ci cedono il passo, rischiando di precipitare nell’erto delle scarpate. L’ombra del sole calante si allunga nelle valli del Sabato e del Calore, come un’onda nerissima ma non tetra. Vorremmo quasi infilarci sotto quella coperta per viverne il mistero. Vorremmo seguirne il viaggio  verso un mondo diverso e infinito.

Finisce invece la nostra giornata prosaicamente e realisticamente presso le pur necessarie automobili.

La malinconia del crepuscolo ci avvia alla meditazione ed alla preghiera. Rivolte apparentemente alla montagna ed a coloro che per caso ci leggessero (e che sono pregati di non seguire il nostro improvvido esempio), ma in realtà destinate a noi stessi: “ne nos inducas in tentationem” ! 

Francescopaolo Ferrara